Mali 2011

Si parte, siamo tutti qui, all’aeroporto di Malpensa ci siamo in otto, gli atri 2 li troveremo a Mopti, fra qualche giorno. Il viaggio non comincia nel migliore dei modi, la coda al controllo bagagli è lunghissima e il tempo non è tanto. Dopo le formalità ci troviamo tutti sull’aereo ma questo non vuol partire, stiamo aspettando una ritardataria che ci scombussolerà tutto il programma, almeno dei primi giorni.

Arriva e finalmente di parte!

Da Milano a Casablanca sono solo 3 ore ma il ritardo comincia a pesare, arrivati nella città marocchina veniamo subito fatti salire su un pullman che con una corsa di ben 50 metri ci porta all’aereo a fianco con un check-in al volo sullo stesso. I nostri bagagli non avranno la stessa fortuna, visto che arriveranno in seguito…

Arriviamo finalmente a Bamako, è notte fonda e ovviamente ci attardiamo ad aspettare i bagagli che non arrivano.

Stanchi e sconfortati dal fatto di dover passare un altro giorno nella capitale andiamo all’albergo Flamboyant, dove ci vengono date le camere per passare la nostra prima notte in Africa. Io vado in camera con Stefano, e li ci aspetta la prima delle tante sorprese del viaggio!

Senza una doccia e senza neppure lo spazzolino da denti ci mettiamo a dormire su un letto matrimoniale che comincia subito a protestare, infatti nemmeno 2 minuti dopo cede di schianto dalla parte della testiera e ci troviamo così a testa in giù. Girati i cuscini dalla parte dei piedi ci mettiamo a dormire, sono le tre di notte , è meglio riposarci un po’.

Al mattino alle sei sono già sveglio, lascio Stefano a dormire, mi alzo e esco.

La prima notte è andata, sono in Africa! Tutto il resto non conta.

Poco a poco si svegliano tutti e finalmente alle dieci riusciamo a uscire dall’albergo per una visita al mercato, la prima delle prove a cui verranno sottoposti Matteo e Stefano.

I mercati africani sono una concentrazione di colori, suoni e odori molto, ma molto particolari. Giriamo un po’ tra banchetti che vendono di tutto, dal pesce alla carne, ovviamente conservata al sole o al massimo affumicata, dai secchi di plastica alle pentole in alluminio riciclato, vestiti nuovi e usati fanno mostra di se tra un’effige di Obama e venditore di spezie. Veniamo portati dalle nostre guide in un magazzino dove cercano in tutti i modi di venderci di tutto, le contrattazioni ci portano via una buona ora, alla fine veniamo scortati fuori dal mercato e accompagnati al pulmino che per i prossimi giorni ci accompagnerà lungo tutto il viaggio.

Cerchiamo a quel punto un buon posto per passare la notte seguente, visto che il primo albergo presentava problemi insormontabili per noi occidentali, ne troviamo uno discreto, non ha il bagno in camera ma è pulito e ordinato, una pulita e troviamo pure il ristorante dove mangiare qualcosa.

Sotto un paio di ombrelloni le chiacchiere si sprecano e con una birra e piatti dal nome impronunciabile cominciamo a ragionare, giriamo ancora un po’ per Bamako, andiamo in albergo e dopo una doccia ritorniamo fuori per la cena, il ristorante è lo stesso del pranzo, meglio non rischiare, dopo la cena tutti a nanna. Il prossimo aereo, speriamo con le nostre valigie, arriverà nella notte, dobbiamo presentarci all’aeroporto a quell’ora, sperando che i bagagli siano arrivati. Io Vin Gianna e Mauro siamo i volontari che si sveglieranno alle 2 di notte per andare a recuperarli.

Alle tre siamo di ritorno all’albergo con i bagagli, svegliamo l’allegra brigata e caricato tutto sul tetto del pulmino partiamo finalmente alla volta di Moptì. Una dozzina di ore di viaggio ci attendono.

Yaya, il gigante buono, nostra guida e autista, si mette al volante nella notte, ci porterà nel primo pomeriggio a Moptì, giusto in tempo di pranzare. Il viaggio è lungo, alle prime luci dell’alba , forse anche un po’ dopo, ci fermiamo per la colazione in un baracchino lungo la strada. Caffè e pane, nulla di più, ma basta per andare avanti. La strada è lunga, i 650 km che separano la capitale dalla Venezia maliana è piena di buche e dossi, attraversiamo villaggi sconosciuti e grandi città, i bambini come sempre ci salutano con la mano, il loro sorriso sulle labbra ci da in benvenuto in Mali, non possiamo fare altro che rispondere a andare avanti, un’avventura ci aspetta.

Ecco finalmente il Niger e Moptì, dopo 11 ore siamo finalmente giunti alla Venezia del Mali, siamo tutti stanchi ma la vista della Porte d’Afrique ci rincuora tutti, anche Stefano, fino a quel momento sfiduciato dagli avvenimenti, sembra riaversi.

La città è caotica e polverosa come sempre, i negozietti sfilano davanti ai vetri del pulmino e in pochi minuti ci troviamo sulla promenade lungo il fiume Bani, affluente del Niger. Sul lungofiume svoltiamo a destra e dopo un paio di ulteriori svolte ci troviamo all’albergo Ya Pas De Problem. L’accoglienza di Ousmane è la solita, grandi sorrisi e strette di mano. Ci fiondiamo subito in terrazza per il pranzo che Tarcisia e Maurizio hanno provveduto a ordinarci. In terrazza li troviamo ad attenderci e in pochi minuti l’allegra brigata si ritrova al completo. Il pranzo è il momento per fare il punto della situazione, ci troviamo in ritardo di mezza giornata sula tabella di marcia, dovremmo raggiungere in giornata Walià ma nessuno pare averne la forza. Tra un discorso e l’altro si fa buio, decidiamo quindi di rimanere per la notte a Moptì e scendere dalla falesia con il favore della luce. Per la notte andremo in un albergo, ancora in fase di costruzione, a Sevarè, a 10 minuti da li.

Ovviamente ceniamo all’albergo e dopo un piatto di Captain avec le frites e una bella Flag da 66 fresca, fatti gli ultimi acquisti per il villaggio andiamo finalmente a nanna.

Finalmente posso aprire la valigia e farmi una doccia decente, ormai è la terza notte che passo in Mali e un cambio di vestiti è assolutamente necessario.

La notte passa tranquilla, all’alba, che da quelle parti e alle sei, sono sveglio, mi pare di aver dormito troppo, mi alzo e scendo in cortile dove trovo Vin intento a redigere il contratto per la costruzione dei prossimi pozzi. L’aria è frizzante, anzi fa quasi freddo, una buona colazione a base di caffè, pane burro e marmellata, mi risveglia e scalda. Chiacchiero con Vin, poco a poco tutta la truppa si sveglia, e così ci troviamo in poco tempo tutti attorno a un tavolo ad aspettare che arrivi il nostro autista con gli accompagnatori che ci porteranno finalmente alla meta.

Sono le nove passate da un po’ quando finalmente partiamo. Tutti a bordo!

Il primo pezzo di strada è asfaltata, almeno fino a Bandiagara, dove ci fermiamo per una bibita, le ultime compere e gonfiare il pallone di cuoio. Da li si parte verso la falesia, lasciamo dopo pochi km la strada principale e ci avventuriamo sulla pista sterrata che taglia diritto verso il bordo netto della stessa. Comincia la parte più dura del viaggio di andata, se da Bamako a Moptì è stata facile, questo pezzo di strada diventa difficile e duro. Finalmente comincia la discesa, tra rocce e strapiombi scendiamo velocemente i trecento metri di dislivello, ci fermiamo a metà strada per sgranchirci le gambe e fare la foto di rito dal classico punto dove di vede il sahel sottostante.

In poco tempo siamo in fondo, giriamo a sinistra e ci mettiamo sulla pista di sabbia che porta a Walià. La pista se possibile è conciata peggio dell’anno scorso, ma il buon Yaya con perizia, e soltanto un insabbiamento ci porta finalmente a destinazione! Walià e alla nostra destra, tra noi e l’immenso Seno Gondo maliano. In pochi minuti siamo al campment accolti dalle persone del posto come fratelli. Finalmente siamo arrivati, scarichiamo i bagagli e organizziamo il campo, la bombola del gas e la pentola di Hansel e Gretel ci sono già, quindi è facile preparare un piatto caldo di pasta, ma la fame è troppa per aspettare, optiamo quindi per le scatolette. Insalatissime e tonno vanno bene per adesso, per questa sera vedremo.

Dopo pranzo partiamo subito alla volta del lago Sesonrose, Daniele non sta più nella pelle, vuole vedere avanzamento degli orti e le Moringhe. Il lago è sempre li, gli orti si sono ingranditi, pomodori, peperoncini, zucche, cavoli, melanzane, papaye fanno bella mostra di se negli orti in riva al lago, c’è anche una discreta quantità d’acqua, segno evidente della buona progettazione, ci sono pure delle tartarughe che nuotano nell’acqua torbida e qualche piccolo pesce, che guizza di quando in quando. Le Moringhe nate sono poche, ci sono stati dei problemi nella crescita, ma per quei problemi aspettiamo il resoconto dei contadini e le soluzioni portate da Matteo.

Il pomeriggio passa veloce nel sahel, alle 6 è buio, e dopo aver giocato con in bimbi al barrage del lago rientriamo al campo per prepararci alla prima notte all’albergo con più stelle al mondo.

Dopo aver recuperato i letti mancanti, ci prepariamo per la cena e finalmente possiamo pranzare con il menù ufficiale di benvenuto: Pizzoccheri alla Valtellinese, una tradizione per l’arrivo a Walià.

Stefano e MAtteo sembra che si stiano ambientando alla situazione, insegno anbsp; Stefano a farsi la doccia con un paio di litri d’acqua e gli impartisco le ultime raccomandazioni sull’uso del bagno del campment.

Matteo preferisce optare per il “bagno padronale” e si avvia tutto solo, al buio, con una torcia in una mano e un rotolo di carta igienica nell’altra, nel Sahel ….

Matteooooooooooooo!!!!!!!!!!!

E’ buio, un buio totale, non c’è neppure la luna a rischiarare un poco la notte, la falesia quasi non si vede. Matteo è uscito da dieci minuti, dovrebbe già essere rientrato, ma non si vede, provo a chiamarlo dal muretto del campment, non risponde, vedo una luce che si muove laggiù ma non può essere lui, troppo vicina per non rispondermi, cominciamo a essere preoccupati, nella testa girano tutti i pensieri del mondo, sarà caduto, si sarà fatto male, sarà stato rapito, insomma, la preoccupazione continua. Esco dalle mura amiche e mi addentro nel sahel continuando a urlare il suo nome, non ricevo risposta. Stefano dice di averlo visto uscire dritto verso l’ignoto, mi addentro anche io nel nulla, non lo trovo, Vin decide di provare verso la falesia io dall’altra parte, continuo a chiamare, nessuno risponde. Pure l’asino sta in rispettoso silenzio per non disturbare. Ormai tutto il villaggio è in piedi e si avvicina al campment per curiosare, continuo a dirigermi verso Bankass, ogni pochi passi mi giro per vedere dove si trova la lucina che indica il campo, la strada è in salita, percorro nel buio molti passi, sono ancora a tiro di voce da Vin che continua a chiamare, la strada continua a salire, c’è una piccola collina da superare, passata quella non vedrò più la luce che adesso è un puntino luminoso distante nella notte, continuo ancora un po’ con la luce frontale a rischiarare dove metto i piedi, e una torcia in mano a gettare ombre sinistre tra i filari di miglio e i radi alberi, continuo a urlare, mi pare di sentire un urlo, ma potrebbe essere l’eco di Vin, continuo ancora un po’, al mio fianco passano due ragazzi che con passo spedito mi sorpassano sicuri di dove andare, mi rincuoro un attimo, le loro orecchie e i loro occhi sono migliori dei miei, forse sanno dove andare. Ormai sono distante, la lucina quasi non si vede, sono in cima alla collina ma fortunatamente la voce di Vin mi arriva ancora udibile. Mi fermo e aspetto… sono solo… al buio… in un posto che non conosco, potrebbe esserci di tutto li fuori, pensieri irrazionali, so benissimo che non c’è nessuno a parte io, i due ragazzi del luogo e Matteo, sperso nel nulla. Sento qualche voce laggiù, mi pare di vedere una luce che viene verso di me, chiamo ancora Matteo che finalmente mi risponde, sta correndo verso di me in compagnia dei suoi salvatori, mi giro e urlo al campment che lo abbiamo trovato, dovrò rifarlo un paio di volte prima che mi sentano… azz se sono distante! La lucina comunque si vede ancora, so che direzione prendere. Matteo arriva da me, è spaventato e nello stesso tempo sollevato… sapessi io come sono, avrei voglia di prenderlo a sberle ma mi limito a passargli un braccio sulle spalle e a riaccompagnarlo, insieme ai salvatori, al campo. Siamo tutti sollevati, il pericolo è rientrato, tutto il villaggio è li a vedere cosa è successo, ci sono le donne i vecchi e i bambini, tutti a prenderlo per i fondelli ma è giusto così. Le facce di noi adesso sono più rilassate, anche se abbiamo perso tutti qualche anno di vita, Daniele mi sembra il più provato, e ci credo, lui di anni ne avrà perso una decina.

Possiamo finalmente andare a nanna, tutti nelle brande, i bambini del villaggi sono ancora li fuori che guardano nel buio le nostre mosse, tra un risata e l’altra ci mettiamo a dormire. Steso nella branda al buio non riesco a trattenermi e urlo ancora una volta Matteoooooo!!!! In coro mi rispondono i bambini, in mezzo a risate e schiamazzi. Poco a poco si fa silenzio, guardo la falesia e alzo gli occhi al cielo, una stella cadente lascia la sua scia luminosa per qualche istante sulla mia retina, questa per il desiderio non vale… è già stato esaudito…

Ed è così che tra le leggende Dogon verrà tramandata oralmente anche quella dell’uomo bianco che si è perso nella bruge  per andare a fare i suoi bisogni.

La prossima volta, caro Matteo, usa la carta igienica come filo di Arianna!

La prima notte è passata, ha fatto freddo, un freddo cane, tirava pure il vento. Come al solito non ho dormito molto, il letto è duro, il materasso è inesistente e l’asino ci ha messo del suo. Alle 5 il Muezzin ha iniziato la sua litania e subito dopo le donne hanno cominciato a ritmare la giornata battendo il miglio. E’ ancora buio, l’alba sarà tra un’ora circa, mi alzo lo stesso, sono infreddolito, ho freddo ai piedi, la prossima notte dormirò con le calze. Si sveglia pure Vin, ci mandiamo segnali da una branda all’altra ma stiamo ancora avvolti nel sacco a pelo. Poco a poco si fa luce, allora mi alzo e preparo il caffè. Il rumore sveglia un po’ tutti, Stefano e Matteo sono svegli pure loro, comincia una giornata piena nella terra dei Dogon. Poco a poco la truppa si sveglia, guardo Stefano e Matteo in faccia, si sono ripresi, il primo mi pare felice di essere dove è, il secondo è felice di esserci dopo l’esperienza della sera prima.

 

Questa mattina il programma prevede la visita dei laghi di Endè e alla piantagione di Moringa di un noto esperto locale. In pulmino facciamo quei pochi km che ci separano dal primo lago di Endè, è come lo abbiamo lasciato l’anno passato, ancora con l’acqua e con molti brick  sulle sponde, segno evidente che l’edilizia è un campo che tira, una foto alla targa, un controllo del livello e passiamo dentro il villaggio.

Salutiamo il vecchio sindaco e visitiamo il mercatino locale, in pochi attimi tutti si ritrovano con qualche cosa in mano, chi un bogolan chi una statuetta e chi una stoffa colorata, l’acquisto compulsivo ha colpito tutti, le contrattazioni ci portano via una buona mezz’ora. Finalmente usciamo dal dedalo di vicoli e ci dirigiamo verso la diga di Endè Wo, sotto il masso di Will Coyote, è asciutta, ma non c’era da aspettarsi altro, si discute su come rimediare all’insabbiamento costate a cui è soggetta e alla fine si arriva a capo del problema.

Le donne che nel frattempo erano andate alla ricerca del preside della scuola ci raggiungono in pulmino e con quello ci fermiamo nel villaggio in un campment che ha anche il ristorante in terrazza. Cous-cous  avec le legumes per tutti e una birra fresca per chi non è astemio. Finito il lauto pasto di nuovo a caccia di ricordi nei vicoli un’altra ora in contrattazioni sotto il sole cocente. Le donne, mannaggia a loro, requisiscono il pulmino per non so cosa, noi proseguiamo verso la piantagione dell’esperto che ci mostra una Moringa di 3 mesi, è alta quasi 3 metri e ha già fatto i semi! Daniele è felicissimo, cominciamo a chiedere con l’aiuto dell’interprete come dove e quando, siamo contenti, la coltivazione è possibile!

Cominciamo da li la nostra passeggiata verso il campo, passiamo sopra a diga dei francesi, monumento allo spreco, crollata il secondo giorno di piogge un paio di anni fa, non senza qualche problema di Vin a superare un ostacolo, arriviamo a Walià che è ancora chiaro.

Una doccia con i soliti 2 litri d’acqua aspettando che il rientrino tutti per la cena.

Matteo è di corvè alla pentola, meglio così, magari questa sera non si perde.

Fa di nuovo freddo a Walià, la notte sarà lunga ma il soffitto di stelle merita, la luna è un’unghia tagliata nel buio. Nel sacco a pelo penso al domani guardando il cielo ,alla terza stella cadente mi addormento, domani sarà una giornata lunga e faticosa, buona notte Walià, buona notte amici. Buona notte anche a te asinello rompipalle!

Il sonno tarda a venire, la notte, se possibile, è più fredda di quella di ieri, i calzini fanno il loro dovere, pure l’asino lo fa, il suo raglio si sente per tutta la falesia, questa notte c’è pure un concerto di gatti in amore a tenermi sveglio, voglio un letto ma devo accontentarmi, ho pur sempre la branda migliore di tutte.

Il risveglio questa volta è all’alba, ho sentito la solita litania del Muezzin ma sono riuscito a riaddormentarmi, cullato dal suono di mortai lontani. Il cielo già rischiara a oriente, tra pochi minuti farà caldo, per il momento mi godo la copertina di pile gentilmente offerta dalla RAM . Mi alzo e rifaccio la branda, facile da fare, butto tutto il nécessaire dentro il sacco a pelo e lo arrotolo. Il campment si sveglia, oggi il programma prevede la visita a Pakoutomoni, sono solo 100 km, ma su una pista sterrata sono tantissimi. Di buon ora riusciamo a essere pronti alla partenza, purtroppo non saremo i soli sul pulmino, ci accompagnano nel viaggio anche Ousmane, suo fratello (?) Moussà, l’Imam del villaggio che ne approfitta per andare al mercato in un paese a metà strada, il capo villaggio, una donna con il pupo che viene con noi in visita parenti e qualche altro personaggio.

Alla fine il pulmino è strapieno, noi siamo in 9, i locali pure, la Tarci è rimasta al campo a fare una traduzione, Bassi sugli assali più del solito di addentriamo per la pista che porta a Bankass, sono solo 12 km, ma già le balestre cominciano a protestare, da li, passando solo per un attimo sull’asfalto riprendiamo la via per il nulla. Pochi km dopo perdiamo la ruota di scorta, che viene prontamente lanciata sul portapacchi, proseguiamo il viaggio tra villaggi senza nome e piste di terra, le ruote alzano una polvere incredibile, che entra da tutte le parti, chiudere i finestrini non serve a nulla. A metà strada circa incontriamo il paese dove c’è il mercato, una piccola sosta, la discesa dell’Imam, e si riparte in mezzo alla confusione, alla polvere e ai carretti trainati da asini, cavalli e dromedari.

Il viaggio prosegue come in gita scolastica, tra canti e battute. Alla fine, dopo circa tre ore di viaggio giungiamo in vista di Pakoutomoni.

La gente è ad aspettarci circa un km prima del villaggio, i primi sono i ragazzini che ci salutano festosi, a poco a poco la strada si riempie di persone festanti, non riusciamo a proseguire oltre con il pulmino, scendiamo e siamo attorniati da tutto il villaggio che con suoni e canti ci accompagna lungo la strada. Siamo attorniati, al centro del gruppo Daniele e Vin camminano felici, la loro emozione traspare dai volti non più stanchi per il viaggio, centinaia di mani ci sfiorano, vogliono toccarci, i bimbi fanno a gara per avere l’onore di essere presi per mano, non so dire di no e con una mano fotografo mentre nell’altra si avvicendano quelle di bimbi festosi e un po’ impauriti.

All’arrivo al villaggio siamo subito accolti calorosamente dal capo villaggio e dal saggio, andiamo subito al pozzo, mentre le donne vengono coinvolte in danza sfrenate a cui non dicono di no, in pochi attimi sono state trasformate in perfette locali, non fosse per il colore della pelle e degli occhi non le riconoscerei.

Il pozzo è li, guardo nell’abisso e vedo l’acqua laggiù in fondo, non so a quanti metri è ma c’è. Subito viene calato il contenitore di pelle che funge da secchio, gli uomini, cosa irripetibile tra il popolo Dogon, cominciano a tirare la fune, non finisce mai, ma alla fine ecco l’acqua! Non è il massimo della limpidezza, non la berrei mai ma per loro è vita, per loro che tutti i giorni dovevano percorrere 12 km per recuperare quel tanto che gli bastava per la sopravvivenza è vita.

Veniamo poi accompagnati sotto una tenda, a poco a poco siamo attorniati dagli uomini, che vogliono sentire le nostre parole, i ringraziamenti si sprecano, noi siamo felici per quello che siamo riusciti a fare, il costruttore ci assicura che il pozzo verrà completato appena sarà asciutto. La foto con la targa è di rito, tra battute e ringraziamenti ci viene offerto il pranzo, veniamo accompagnati in una casa, e li, tra galline che girano libere e sedie sgangherate di viene offerto il massimo per loro.

Ci sediamo più o meno comodi e davanti a noi vengono levati i coperchi a pentoloni contenti riso e pollo. Stefano vacilla e si rifugia in un angolino, pure Daniele ha un momento di panico, ma non possiamo rifiutare, sarebbe una grave offesa. Non c’è nulla da fare dobbiamo mangiare.

Ovviamente le posate non esistono e allora si va con le mani, i polli vengono divisi strappando i pezzi, quelle povere coscette hanno poca carne e tante ossa, il riso è condito con una specie di sugo, è anche buono, basta non far caso alla forma, in nostro onore ci vengono serviti anche degli spaghetti al sugo, buoni pure quelli, anche se un po’ piccanti. Di secondo abbiamo polenta di miglio, dal colore marrone verde, da mangiare intinta in un brodo di non so cosa. Assaggio pure quella, guardo Stefano che dal suo angolino tira via la poca carne da un pezzo di pollo. Finito il pranzo Daniele e Vin tornano al pozzo per misurarlo, no ci riusciranno, lo strumento laser non funziona come dovrebbe, mi guardo in giro e vedo su un magazzino un adesivo di Se@sonrose… Tenuto insieme da nastro trasparente. La cura con cui è conservato mi fa tenerezza, Daniele mi chiede di fotografarlo. Non le lo faccio ripetere, quel piccolo simbolo ha un grosso valore per loro. Riprendiamo la strada di casa, facciamo ancora a tempo a perderci un paio di volte nel nulla prima di fermarci con il pulmino che non vuole sapere di andare avanti, la sabbia finissima si è infilata tra i dischi della frizione che non fanno più presa, lasciata raffreddare un po’, ripartiamo, recuperiamo l’Imam e il suo montone che caricheremo vivo sul portapacchi. Scendiamo per ridare fiato al didietro, in pochi attimi veniamo attorniati da ragazzi e adulti che raramente vedono un uomo bianco. Mi sento un po’ come allo zoo, solo che questa volta l’animale raro sono io. Risaliamo per l’ultimo tratto di viaggio, a Bankass ci fermiamo per una bibita fresca, ormai è buio, riprendiamo la pista che ci porta a Walià nel buio più totale, ci fermiamo per fare riposare la frizione ancora una volta, mentre cerchiamo ti tenerci allegri cantando vecchi successi italiani. Finalmente vediamo il villaggio, e il campment, la Tarci è li che ci aspetta, il pentolone è sul fuoco e il tavolo e pronto. Comincia a fare freddo ma non importa, mi fiondo nella doccia con il soffitto di stelle e mi lavo, guardando il cielo. La doccia migliore che io abbia mai fatto, Stefano segue il mio esempio, ci mettiamo a tavola e ci raccontiamo la giornata. Siamo tutti stanchi, ma oggi è stata forte l’emozione. Dopo cena e dopo qualche discorso tutti a nanna, domani sarà un altro giorno di fuoco. Le stelle sono sopra di noi che ci guardano, tutto tace, solo il russare di Maurizio rompe il silenzio, provo a cercare una stella cadente, mi addormento prima. Buona notte Pakoutomoni, domani, come dopodomani, come per sempre, l’acqua per voi non sarà più un miraggio perso nel Seno Gondo. La notte è stata la solita notte, fredda e ventosa, la mattina la sveglia è alla solita ora antelucana. Oggi il programma non scritto prevede una visita a Dogò per misurare dove verrà costruito un nuovo lago e sulle ali del finanziamento di Prosolidar anche un secondo lago, questo il doppio degli altri, dove già esiste un lago. In più ci sarà pure una cerimonia privata di cui non posso parlare. Niente di strano però ho promesso di mantenere il silenzio su questo.

L’allegra brigata, dopo la solita colazione con la nutella ormai vicina al razionamento, si mette in marcia compatta verso Dogò, ultimo villaggio del comune di Kani Bonzon. Il villaggio è come tutti gli altri, povero e  senza acqua, se  non si considera uno scriteriato intervento che ha montato un chateaux d’eau leggermente storto, talmente storto che una volta che i suoi serbatoi verranno riempiti cadrà inesorabilmente al suolo, senza contare che l’acqua prelevata è a pagamento.

 

Bindella metrica in mano ( lo strumento laser di Vin fa una volta ancora cilecca), Stefano si cala nel suo ruolo di geometra e in poco tempo si tracciano le misure del nuovo lago, veniamo accolti anche li come personaggi importanti, tra discussioni con il capo villaggio che vorrebbe salvare le piante e problemi tecnici la mattina vola quasi via tutta. Finiti i convenevoli, abbiamo anche il tempo di beccarci una benedizione dal prete locale, nella mini chiesetta nel villaggio vicino, da li passiamo a Kani Bonzon, dove i francesi hanno a suo tempo costruito una diga che permette l’allagamento di una parte della pianura. Gli orti sulle sponde ci sono, ci sono pure i giovani che coltivano, solo che l’acqua non durerà ancora per molto, all’interno di quello stagno si scaverà per rendere l’acqua più profonda e portarla da una stagione delle piogge all’altra, In que lago ci sono pure i coccodrilli, secondo le stime dei locali sono almeno una trentina, io ne vedo solo un paio che ovviamente fotografo.

Sono gli unici animali selvatici che esistono ancora in quelle lande desolate, non sono stati uccisi e mangiati perché sacri secondo le leggende Dogon. Abbiamo anche il tempo di fermarci a Kani Kombolè per una bibita fresca, lì vediamo il metodo locale di potatura alberi : Una corda passata attorno a un ramo, una ventina di ragazzi che tirano la corda e il ramo che inesorabilmente cade tra le urla festanti degli astanti. Una tecnica che farebbe inorridire qualsiasi amante del giardinaggio, tant’è che Matteo rimane interdetto dal sistema.

Torniamo a casa giusto per il pranzo a base di montone, di cui io non assaggio nulla o quasi. La cerimonia continua con balli e canti tra le vie del villaggio. Ci sono pure due cacciatori, che con vecchi archibugi ad avancarica e pietra focaia, ogni tanto sparano un colpo a salve facendo festa pure loro.

 

La sera avanza, è quasi buio, sono seduto su un mattone di banko, la portentosa miscela di fango, acqua e escrementi, ansimo peggio di un mantice bucato, guardo la falesia mentre mi levo le scarpe, le giro e lascio uscire la sabbia, che scorre come un fiume tornando da dove è venuta. Ho bisogno di bere, la gola è in fiamme, la polvere si è cementata sul palato e la sabbia scricchiola sotto i denti, sono decisamente stanco, non ne posso più. Mi sento morire, è una sensazione strana, mentre provo queste sensazioni sorrido, sono felice, mi sono divertito un sacco, solo adesso il mio corpo recrimina per la vita sedentaria e le troppe birre passate e future.

Mai più, mai più, lo giuro, mai più una partita a pallone in tre contro trentacinque

Finiamo la serata giocando a carte, sbanco tutti lasciandoli con un po’ di amaro in bocca. Ormai siamo svegli solo io, Vin, Matteo e Daniele. Andiamo finalmente a dormire, questa sera e tardissimo, mentre mi lavo guado ancora una volta il cielo, la luna è un po’ più visibile, ma la notte è sempre scura, una, due stelle cadenti, lo dico a Matteo che questa sera ancora non ne ha visto. Mi metto in branda, avvolto nel sacco a pelo alzo ancora una volta gli occhi, vedo una stella cadente e esclamo “tre!” ad alta voce, dopo un momento Matteo risponde “una!”, non riesco a rispondergli, sto già dormendo. Buonanot… zzzzzzz

Il tempo sta cambiando, alcune nuvole leggere solcano il cielo al mattino, fa un po’ meno freddo, il vento è più teso ma non è fastidioso. Oggi è una giornata piena, c’è il Moringa Day , l’incontro con i presidi delle scuole, il controllo dei denti dei bambini, un ulteriore controllo all’infermeria, la partita Mali- Italia, e tante altre cosette. Al mattino presto, mica poi tanto presto, io Daniele Stefano Matteo e Vin, in compagnia del costruttore, andiamo in visita al lago Uana Birè, nel villaggio di Kani Kombolè. Il lago contiene ancora acqua, c’è un unico orto coltivato, giustamente essendo il primo anno in pochi si sono azzardati a coltivare non sapendo se l’acqua basterà per tutta la stagione, il lago non è proprio come doveva essere, un contenzioso con il capo villaggio ha fatto si che una sponda non sia stata scavata a dovere, con la conseguente diminuzione della capienza, ma siamo contenti lo stesso, c’è acqua e c’è lavoro, va bene così, alle finiture si penserà in seguito. Ad accoglierci non c’è quasi nessuno, solo un paio di ragazzi che coltivano l’orto, e qualche fabbricante di mattoni. Vin non è affatto felice, la terra smossa è stata lasciata sulle sponde, alla prossima stagione delle piogge ritornerà in parte all’interno. Facciamo la foto con la classica targa non proprio felici e visto che siamo in anticipo ( cosa alquanto incredibile)  andiamo anche a controllare la pozza d’acqua scavata dai francesi in un altro villaggio. Dopo la visita di prassi al capo villaggio, intento nella sua casa a costruire corde con i fili dei sacchi di riso, ci rechiamo la lago, una pozza d’acqua fangosa e maleodorante, con una sponda di terra di riporto alta poco più di un metro destinata a cedere anche lei alla prossima pioggia. Ormai è giunta l’ora del Moringa Day, arriviamo al campment con gli agricoltori già schierati, e, con Matteo protagonista, comincia la lezione di coltivazione di Moringa, supportata dalla traduzione spannometrica di Moussà. I coltivatori interessati, una volta visto che la cosa non è semplicissima, ma solo semplice decidono la quantità i semi da piantare, pochi in verità, ma messi tutti assieme faranno un bel campo; Matteo, noto e apprezzato botanico, ha pure preparato un quaderno con gli esempi pratici di potatura e di coltivazione, un quaderno che verrà aggiornato di anno in anno per completare la tecnica di coltivazione. Nel frattempo, Mauro, supportato da Federica, Gianna, Miriam, l’ostetrica del villaggio, e dal un professore della scuola, sta controllando i denti a tutti i ragazzini del circondario. In una sorta di catena di montaggio tutti vengono controllati, alcuni impauriti piangono alla vista di un mostro con 4 occhi e due luci puntate su di loro, ma tutto sommato il controllo si svolge nel migliore dei modi. A tutti viene regalato lo specchietto monouso in plastica e fuggono via contenti. Ormai la mattina è passata, è l’ultimo giorno a Walià, il pomeriggio è libero quasi per tutti, Matteo e Stefano decidono di salire, accompagnati da Moussà, ai villaggi Telem, arroccati a metà della falesia, io preferisco stare li a riposarmi. Arriva anche il costruttore con i preventivi della nuova infermeria, il pomeriggio passa tranquillo senza scossoni.

La partita comincia al calare della sera, con l’aria un po’ più fresca, forse riusciremo a reggere qualche minuto in più. Siamo in inferiorità numerica, tanto che mettiamo in campo anche Federica e  Ousmane, ingaggiamo in porta un ragazzino di non più di 10 anni che farà parate miracolose salvando il risultato più spesso di quello che fece Zoff ai mondiali del ’82.

Il campo non è in perfette condizioni, le buche e i dossi di sabbia rendono difficile il controllo della sfera, è in pendenza e le linee laterali non sono segnate come dovrebbero. Fortunatamente noi attacchiamo in discesa, lo schieramento prevede un 3 2 2 1 con me, Federica e Daniele in difesa, Ousmane e Stefano lati bassi del rombo, Maurizio e Matteo a supporto dell’unica punta Vin. Mauro alle riprese foto e video e Gianna e Tarci al tifo.

La squadra ospitante si presenta con un 5 5 5 mobile, che spesso si  trasforma in un 6 6 6 con inserimenti non autorizzati.

Arbitra l’incontro il sig. Moussà Guindo dit Francò della sezione di Walià. Un arbitro talmente di parte che neppure Byron Moreno di Italia Corea …

 

Il gioco si fa subito duro, noi in campo mettiamo la presenza fisica e un discreto controllo di palla reso quasi impossibile dalla sabbia e dai fusti di miglio, nonché dagli escrementi di mucca presenti sul terreno di gioco, dal canto loro possono contare sulla velocità e freschezza, sulla destrezza nello scartare gli escrementi, nonché sulla loro superiorità numerica. Le azioni di gioco si svolgono prevalentemente in un’unica direzione, riusciamo a malapena a contenerli nelle loro folate offensive, il nostro oriundo portiere ( si vocifera che abbia parenti pugliesi) salva più volte il risultato, ha solo il difetto che il rilancio non gli viene troppo bene. Là davanti Vin è solo, controllato spesso da 3 o quattro giocatori avversari, quelle poche volte che riceve palla lascia tutti sbigottiti con le sue evoluzioni, comunque non concludendo mai a rete, sulla fascia sinistra la coppia Stefano-Maurizio fa scintille, in special modo quando si scontrano tra loro, sulla fascia destra Matteo e Ousmane dialogano meravigliosamente, uno in italiano e l’altro in dogon…

La difesa a tre con me a sinistra, Federica al centro e Daniele a destra ( sarà un caso?) regge agli assalti offensivi, il fiato ormai è rotto, appunto,talmente rotto che ogni tre passi devo fermarmi a rifiatare. Federica salva in un paio di casi la situazione, Daniele ci mette del suo per dar ordine alla squadra, facciamo quadrato intorno a Zidane, la loro punta, ma siamo solo in tre, ci manca un lato e da li passano tutte le sue azioni. Ormai è quasi buio, quando un colpo fortunato del fortissimo attaccante avversario porta in vantaggio la squadra ospitante, la disperazione di Matteo è quasi simile a quella che provava quando era perso nel sahel. Proviamo con tutte le forze a portare a casa un pareggio, ma le forze sono quelle che sono, non possiamo far altro che accettare la sconfitta chiedendo la rivincita in Italia ( escamotage di Vin, che non sapendo perdere, già si dà per vincente sapendo che in caso di rinuncia vinceremo 3 a 0 a tavolino). Gli ultimi istanti proviamo pure a far gol con azioni da rugby, ma anche quel sistema sarà vano, non basta la presenza fisica, quando ne hai addosso 5 o 6 che ti fanno pure il solletico e difficile tenere palla.

E’ stata una  bella giornata piena, finiamo giocando a machiavelli, con Gianna che la fa da padrona.

E’ l’ultima notte a Walià, domani si parte.

Buonanotte a tutti.

Frate-elli d’Ita-lia,

l’Ita-lia s’è de-esta,

dell’e-elmo di Scipio…

Questa notte non ha fatto troppo freddo ma il vento ci ha messo del suo, apro gli occhi a un’ora indefinita, è l’alba, forse, non so, c’è un colore strano, mi sento il naso tappato e la gola in fiamme, la sabbia sotto i denti e non riesco quasi a respirare, mi alzo e vedo. Vedo tutto il mondo grigio marrone, c’è l’armatam! Questo ancora mi mancava, fortunatamente oggi è l’ultimo giorno e si torna verso casa. Uno strato sottilissimo di polvere si è depositato su tutto, la polvere la senti sotto le dita, te la senti in testa , negli occhi, dappertutto. Questo è quello che produce l’armatam, un vento leggero ma costante che alza la polvere per diversi metri di altezza sorreggendola in aria per giorni. Pian piano, in un paesaggio surreale ci alziamo tutti, ci sono le valige da fare e smontare il campo richiede tempo. Ormai siamo pronti alla partenza mancano solo i saluti e la letterina a Babbo Natale.

I saluti ci vengono posti dagli abitanti del villaggio che con un rituale tutto loro, partendo dal capo villaggio in giù, passando per i vecchi ci augurano buon viaggio e buon ritorno in patria. Ci augurano ogni bene e si raccomandano al loro Dio la buona sorte per tutti. Intanto le donne ,sempre in disparte, raccolgono volentieri gli indumenti che abbiamo lasciato loro. Li distribuiranno in seguito a chi ne ha bisogno.

Ormai siamo pronti, il pulmino è carico, non come all’andata ma carico. Tutto il villaggio si raduna nella piazza del togunà per darci l’ultimo saluto. Ciao Walià, sei stata la nostra casa per diversi giorni, arrivederci o forse addio, non lo so, ma l’importante è esserci stato adesso.

Tra una nuvola di polvere e ragazzini che ci inseguono lasciamo finalmente il villaggio, passiamo davanti a Telì e a Kani Kombolè cominciamo la salita della falesia. In un paio d’ore dovremmo essere a Moptì. Siamo tutti un po’ tristi, il viaggio si svolge quasi in silenzio, a salita è lunga speriamo di non trovare l’armatam anche sopra ma non sarà cosi. Ormai è tutto impolverato, ho la macchina fotografica conciata malissimo, rinuncio anche a pulirla arrivato a casa la smonterò tutta e la pulirò come si deve. Arriviamo finalmente in cima e cominciamo la discesa per Bandiagarà, finalmente rimettiamo le ruote sull’asfalto e in poco tempo arriviamo a Sevarè dove ci fermiamo per consegnare qualche cosa ai due ragazzi di Walià che studiano da infermieri in una scuola locale.

L’arrivo a Moptì è accolto con gioia da tutti, una doccia e un letto degno di tanto nome è quello che tutti chiediamo. E’ ora di pranzo e ovviamente la terrazza ci accoglie. Per il pomeriggio è in programma un giro sulle pinass le locali imbarcazioni fluviali lunghe e strette, io e Vin decidiamo di non andare preferendogli una nuotata nella piscina dell’albergo. Un paio di vasche nell’acqua gelida e una passeggiata lungo il Bani mi ritemprano quel tanto che basta per affrontare il ritorno a Bamako del giorno dopo. Mentre siamo lì che dissertiamo dei massimi sistemi ( non è vero, stavamo solo cazzeggiando) vediamo arrivare una pinass con sopra i nostri compagni di viaggio. Ormai è buio, ma la voglia di acquisti non si è ancora acquietata, le donne della combriccola e i novizi non si fanno pregare e spendono gli ultimi soldi in moneta locale comprando il comprabile e anche qualcosa oltre il comprabile da Fità il fornitore ufficiale di collane di Se son rose. Lui riconoscente, alla fine, regalerà a tutti un coltellino dalla lama di una decina di cm. Ormai è sera, ci ritroviamo di nuovo in terrazza, il menù è sempre quello, Vin esagera e si prende una bottiglia di Bordeaux del 2006. Finita la cena tutti a letto, domani sarà una lunga giornata. Finalmente un letto, una doccia calda ( la terza della giornata) e un notte intera per dormire. Mi butto sul letto singolo, Stefano questa notte può dormire, come dice lui, a quattro di spade, abbasso la zanzariera e dormo come non ho fatto da ormai da nove giorni.

Buonanotte Moptì, buonanotte Walià, buona notte Falesia, domani vado via ma voi verrete sempre con me.

E alla fine è giunta l’ora della partenza, dopo un buon sonno sotto la zanzariera, e una buona colazione, sempre nella terrazza con vista tetti di Moptì, si arriva all’ultimo pezzo di strada, il più noioso e il più “inutile” del viaggio.

650 km ci separano da Bamako, da li con un paio di voli Ram saremo alla Malpensa e nelsuolo patrio. Il tragitto è lungo e noioso, alle nove passate del mattino ci mettiamo in viaggio, salutati Ousmane e Moussà, con il gigante buono alla guida e il suo figlioletto partiamo. Il nastro nero di asfalto si dipana dinnanzi a noi sempre uguale, intervallato ogni tanto da qualche piccolo villaggio che si affaccia sulla route principale. A meta strada ci fermiamo in un posto “occidentale” per il pranzo, dove i soliti ignoti svuoteranno letteralmente il locale negozietto di souvenir. Stefano recupera dal tavolo una bottiglia d’acqua sigillata e la porta sul pulmino, il viaggio è ancora lungo siamo a metà strada, la polvere dell’armatam ancora aleggia nell’aria e la gola si fa secco spesso. La bottiglia perde un po’ dal tappo non ben chiuso, ma nessuno ci fa troppo caso, sempre Stefano ne prende un sorso, pochi minuti dopo il suo volto cambia espressione e alla prima città siamo di nuovo fermi, la ricerca di un bagno diventa impellente, ci si ferma dove dovrebbe esserci un ristorantino conosciuto da Vin e Daniele, ma è chiuso! Mentre noi aspettiamo lui si fionda comunque nel bagno. Abbiamo voglia un po’ tutti di ristorarci e allora ci affidiamo a Yaya che ci trova il posto giusto. Stefano si ritira di nuovo nel bagno, ne uscirà molto più ristorato, la maledizione dell’uomo coccodrillo, che sembra colpire ogni volta qualcuno, anche questa volta, in piena zona Cesarini, è riuscita a cadere sul gruppo. Una pastiglia astringente fa il suo effetto. Possiamo ripartire, ormai mancano solo 4 ore all’arrivo, facciamo prenotare un paio di stanze all’albergo Flamboyant, giusto per darci una sciacquata prima della partenza. Alle 21, 30 siamo finalmente a Bamako, dodici ore e un pezzo sono passate, il mio fondoschiena esulta quando finalmente può dire addio ai sedili del pulmino. Una doccia e un cambio d’abito sono necessari, via gli scarponcini tecnici e via i pantaloncini corti, da ora in poi solo pantaloni lunghi e maglione. Già che siamo li ceniamo pure, non smentendoci mai , gli spiedini di carne sono ottimi la birra fresca al punto giusto, tra scherzi e giochini vari passiamo il tempo aspettando l’ora tarda della partenza.

A mezzanotte si parte per l’aeroporto, all’ingresso non vogliono farmi entrare perché non trovano sul mio passaporto il timbro di ingresso, dopo un attimo di panico lo trovo tra il casino di timbri che ci sono sopra. L’aeroporto è nuovo, appena ricostruito, tutti pulito e luccicante, il ceck in è simile a quello di un qualsiasi aeroporto occidentale, passiamo la dogana e i controlli tranquillamente, anche all’ultimo controllo, questo ancora con il sistema africano. Daniele si è scordato in tasca il coltello regalo di Fità, entrerà tranquillamente sull’aereo tenendolo in mano…

Si parte! Addio o arrivederci Mali, terra dura.

Non è ancora finita.

Sul volo Bamako – Casablanca, mentre io mi addormentavo in fase di decollo, Daniele accusava uno svenimento. A svegliarmi era Mauro che lo prendeva letteralmente a sberle. Assistito dalla hostess durante il volo,  veniva caricato su un’ambulanza all’arrivo a Casablanca e ritenuto in grado di proseguire il viaggio.

La sosta a Casablanca è stata lunga, 5 ore passate in aeroporto a non fare nulla, fortunatamente esiste una zona fumatori, dove io e Matteo abbiamo fatto, nostro malgrado, la conoscenza di un marocchino emigrato in Sicilia, con uno spiccato accento siculo, che ci meravigliava delle sue conoscenze e delle sue amicizie nel paese.

Il volo per Milano è stato tranquillo, il recupero bagagli un po’ meno, ci sono volute quasi 2 ore per poter uscire dall’aeroporto.

Salutati Mauro, Giovanna, Maurizio e Tarcisia, caricati i bagagli sul pulmino, questa volta con sedili morbidi e ammortizzatori in ordine, di Daniele in un paio d’ore siamo finalmente arrivati a casa sua, giusto il tempo di un caffè, i saluti e gli abbracci doverosi all’allegra brigate reduce dal viaggio, e di nuovo son seduto, questa volta in macchina, per gli ultimi 300 km che mi separano da casa.

Alle 23, 15 dopo ben 37 ore e 7 minuti sono finalmente giunto a casa, ho un sonno bestia, gli ultimi km sono stati un delirio, mi sono fermato un paio di volte per un caffè ma volevo andare a casa subito.

Buonanotte, Daniele, Federica, Matteo, Stefano e Vin.

GRAZIE DI TUTTO !!!!

Buonanotte Amore.

Fine.