Vinny e Daniele tornano dal Mali (2013)

Care Gazzelle Buon giorno

Per quel che valgono,queste sono le nostre notizie dal Mali: in questo mese di marzo appena passato nella capitale il traffico è sempre caotico, i”visi pallidi” sono meno delle altre volte, ma anche il periodo e il suo caldo non invogliano a venire. La temperatura, mai scesa sotto i 40° fa passare la voglia di fare qualunque cosa.

Le formalità e le misure di sicurezza sono visibili, soprattutto nel quartiere amministrativo e lungo le arterie che portano ai ponti sul Niger. Ma, a parte questo, si può circolare senza problemi e la vita pare scorrere come sempre.

Uscendo da Bamako, sulla direttrice per Segou, i Cinesi stanno rifacendo l’autostrada, quindi, fino a Fanà si viaggia su pista rossa ricavata ai lati del cantiere autostradale.

A Segou, siamo arrivati il venerdì e, forse anche complice il giorno di preghiera islamico, non abbiamo visto un bianco a pagarlo, non solo, ma, mentre aspettavamo di mangiare al “Soleil de minuit”, dove di solito ci fermiamo e dove, sempre di solito, siamo attorniati da ambulanti che cercano di convincerci a fare l’affare della nostra vita acquistando da loro, questa volta non siamo stati degnati di uno sguardo.

A sera giungiamo al doppio posto di blocco militare di Mopti, dove, prima ci han preso i passaporti, poi ci han detto che dovevamo tornare a Bamako, perché l’area è interdetta ai civili e poi, dopo uno scambio acceso tra il nostro referente e la guardia, con conseguente intervento dell’ufficiale in comando, che conosce sia il nostro referente che il lavoro che SSR ha svolto sul territorio, siamo passati.

Entrare a Mopti, per chi, come noi, la conosce è stata un’esperienza traumatica. NON esiste più! Non in senso letterale, qui la guerra, quella fatta di colpi di mitraglia sulle facciate e di sangue sulle strade non è arrivata, si è fermata a Konnà, fermata anche, come ci ha raccontato Ousmane (il nostro referente e amico), con il sangue delle etnie(lui ha detto razze) Dogon e Bobò che formavano la prima linea dell’esercito Maliano che si è scontrata con i ribelli.

Ma l’ombra della guerra ha fatto sparire tutta la vita che scorreva a Mopti. Vedere la città buia e silenziosa come un villaggio del Seno Gondo, restare soli, perché in albergo siamo solo io e Vin, sulla terrazza dell’Hotel e non vedere una luce, sentire un suono, una semplice risata, beh, stringe il cuore, anche a oltre settemila chilometri di distanza, come sono ora.

La mattina dopo, andando a Sevarè, abbiamo potuto constatare con mano che non è solo la vita turistica, di cui Mopti si nutre, che manca: il Niger è vuoto, non c’è una pinasse a pagarla, il Bani pure, il mercato che con i suoi colori, odori e frastuono riempiva l’aria, le altre volte che siamo venuti, non c’è più. Ci guardano visi stupiti, pochi cercano il nostro contatto, il ragazzo che ci vendeva le collane e che ha il suo negozio vicino al corso del fiume non c’è più e il negozio è chiuso, sbarrato.

A Sevarè i tre grossi campi militari rendono la città più sicura e si è formato un campo profughi di cui persino il presidente di Fatb di Bandiagarà sa poco se non nulla, dice che i militari non lasciano entrare nessuno. Proseguiamo sulla strada per Bandiagarà, poche macchine, nessun bianco, posti di blocco. Passiamo,Ousmane e Se@sonrose, son conosciuti e son contenti di rivederci. Al grande rondò di Bandiagarà hanno costruito un mega monumento dal soggetto imprecisato, giriamo a destra verso la pista per Bankass /Korò /Burkina Faso, la strada è nuova di zecca, sempre opera dei cinesi. Poco più avanti deviamo a sinistra sulla pista rossa per Kani-Kombolè/Bankass e scendiamo dalla falesia. Non incrociamo nessun veicolo, né in un senso,né nell’altro. Il caldo si fa sentire e sono solo le dieci e mezzo del mattino.

Arrivati a Kani-Kombolè giriamo a destra verso Kani-Bonzon e Dogo-Ley, visioniamo, in assoluta solitudine, i nostri work in progress, dei due bacini rimasti a metà a causa del colpo di stato.

Il sindaco di Kani è appena tornato da un ospedale in Burkina dove gli hanno sistemato una frattura tibia/perone e ci aspetta al suo villaggio:Endè. É dall’altra parte.

Torniamo, attraversando di nuovo Kani-Kombolè, poi Telì, dove, di fronte alla vecchia chiesetta, hanno costruito una moschea nuova, e appena fuori l’abitato ci sono due (sarebbero tre, ma il primo è vuoto) pollai. Uno è, come ci conferma un uomo che accorre al nostro arrivo, di un’associazione italiana, ma dice che le galline, dentro, stanno morendo, l’altro, molto più articolato e diviso in piccoli pollai separati fra loro, no. Chi l’ha fatto? È la domanda. Non gli italiani! è la risposta. Gli chiediamo se il pollaio è di tutto il villaggio o solo di alcuni, dice il classico ”di tutti”. Ringraziamo e proseguiamo.

Arriviamo a Walià, nostra base quando siamo in zona. Il campement del villaggio praticamente non esiste più, ci sono altre e nuove costruzioni dall’uso indefinito e chiuse, come il locale di alfabetizzazione degli adulti, costruito da un pool di ONG italiane – maliane, posto a fianco del campement, lontano dall’edificio scolastico del villaggio, e completamente inutilizzato.

Visioniamo i nostri progetti, che, pur nel pieno della stagione secca, danno ancora acqua e proseguiamo per Endè. Nel frattempo è passato mezzogiorno e fa un caldo bestiale. Giunti al campement di Endè, l’unico ancora funzionante, ci accoglie il sindaco. Aspettiamo una mezz’ora per riuscire a bere qualcosa, son dovuti andare in giro per i vari campement per racimolare tre bibite, e anche per organizzare un cous cous avec legumes, già ordinato da Ous verso le undici, ci son volute tre ore. La crisi del turismo ha colpito più della guerra vera e propria in questa zona, tradizionalmente meta dei turisti. Le vie di Endè dai cui muri pendevano decine e decine di bogolan di tutte le misure e di tutti i colori sono vuoti, deserti, non c’è un solo venditore che venga al nostro tavolo per proporci qualcosa.

Tutto cancellato.

Si torna,tristi, verso Mopti, per ragioni di sicurezza abbiamo deciso di non dormire nei territori, ma di tornare all’albergo. Non abbiamo visto una macchina né un bianco nell’arco di tutta la giornata. C’è una vaga sensazione di essere dei “bersagli” e non è una bella sensazione. Oltre a questo quadro, però, c’è una voglia enorme di riprendere la vita come era una volta e c’è un apprezzamento particolare per chi, come noi, ha deciso di restare e di non andare via. Le parole del sindaco di kani-Bonzon “Siete stati gli ultimi ad andarsene e siete i primi a ritornare”… beh, un po’ di orgoglio Italiano ce lo siamo meritati 🙂

Questo ci ha permesso di ottenere,direttamente con l’autorità regionale delle risorse idriche, un contratto che prevede la realizzazione in 5 anni di un numero significativo di forage certificati con acqua pura, ad un prezzo “politico” difficilmente ipotizzabile solo qualche anno fa.

Questo impegno da parte loro, è reso possibile dalla fornitura, da parte nostra, dei mezzi necessari allo svolgimento delle operazioni di perforazione.

NON abbiamo parlato a nome di Rete Mali,ma, allarghiamo ovviamente,alle associazioni di Rete Mali, queste condizioni economiche per pozzo.

Grazie per l’attenzione

Daniele